Consorzio

Il nucleo originario del comprensorio di bonifica delle paludi di Napoli e Volla coincide con la vasta area pianeggiante che nel medioevo si estendeva dalle porte orientali della città fino alle pendici del complesso montuoso Somma – Vesuvio. Le paludi, che vi dilagavano fin dall’antichità, si estendevano fino al piede delle mura della città greco romana, limitandone l’espansione e difendendola nello stesso tempo dagli attacchi.

Nella seconda metà del Quattrocento Alfonso I d’Aragona, che da poco aveva scacciato da Napoli gli Angioini, distribuì i terreni della piana tra gli agricoltori più poveri, che vi impiantarono i fertili orti d’e parule, così ancora oggi denominati nel dialetto locale.
Si trattava di terreni fertili e ricchi di acqua, perciò contesi tra pastori e agricoltori; e le acque stesse erano contese, se è vero che nel luogo chiamato “casa dell’acqua” la corrente dell’acquedotto della Bolla veniva divisa in due da un marmo partitore: una parte destinata attraverso una condotta chiusa alle fontane della città, l’altra rilasciata in un canale scoperto a servizio di ben undici molini funzionanti nella palude.
Ma si trattava anche di terreni infestati dalle zanzare e dalla malaria e impestati dai miasmi dei fusari, le vasche ove nel periodo angioino venivano macerati il lino e la canapa.
Su quei terreni non vi è fabbrica alcuna, et e a mal aria, dove non se ci può dormire, in particolare di estate, senza gran pericolo evidentissimo della vita, [1]
come si legge in un contratto dell’epoca di Giovanna I, a metà del ‘300.
I primi tentativi di risanare e bonificare l’area risalgono già ad alcuni decenni prima, all’editto di Carlo II con il quale nel 1306 il sovrano ordinò il definitivo allontanamento dei fusari dall’area. Nel 1485, sotto il regno di Ferrante d’Aragona, viene tracciato il fosso Reale, probabilmente il primo canale di bonifica delle paludi.
Furono i viceré spagnoli – prima don Pedro di Toledo, poi il suo successore conte di Lemos – a dare avvio alla grande opera dei Regi Lagni, per la bonifica dell’agro nolano e della Terra di Lavoro.
E fu dietro l’allarme e le proteste e il danno continuo delle popolazioni proprio alle porte della capitale, che nel 1616, il viceré conte di Lemos, su progetto dell’ing. Domenico Fontana, fece bonificare la zona, detta poi dei Regi Lagni, rettificando e arginando il corso del Clanio che infestava le terre comprese nel suo bacino. Bonifica che dovette sembrare gran cosa per allora, e della quale s’è voluto conservare il ricordo pomposo nientemeno in tre iscrizioni. [2]
Nei secoli successivi le acque delle paludi furono sempre più utilizzate, non solo per i mulini, ma anche, ormai in epoca borbonica, per azionare i magli della Reale Ferriera e per macinare la creta. A metà ‘700 nel pieno delle paludi fu addirittura istituita una riserva di caccia della Corona, la Real riserva alla Volla, entro la quale fu edificato un elegante casino di caccia, più tardi affiancato da una bella cappella dedicata a S. Michele Arcangelo.
Furono protratti a lungo i lavori di bonifica delle paludi e fu affrontato il problema della manutenzione e della gestione dei canali di drenaggio, alle quali, fin dalla precedente era vicereali erano stati associati i proprietari dei fondi e dei mulini.
Intorno al 1790 è registrato l’inizio di un’altra opera di rilievo per l’area dei torrenti di Somma e Vesuvio:
la costruzione del canale collettore di San Sossio che raccoglieva le acque provenienti dal Somma nell’agro di Pomigliano d’Arco, di Cisterna, di Brusciano e di Mercogliano. [3]

Al 1817 risale il regolamento di polizia delle paludi, che impone, per altro:

Per la salubrità dell’aria della Capitale, e i suoi circondarii, ogni possessore, o fittuario de’ terreni delle dette paludi dovrà in ciascun mese estirpare le goglie padelle, e tutte le altre erbe, che nascono ne’ fossi, contrafossi, e fontane esistenti in tutta la estensione delle paludi medesime, ciascuno pr la porzione che gli appartiene.
I possessori de’ terreni lungo il fosso reale, che conduce le acque di scolo dal tenimento della Volla al ponte della Maddalena, o i fittuari di essa, ed i molinari, dovranno, giusta il solito, nel mese di agosto di ogni anno, nettare a spese comuni il suddetto fosso reale.

I possessori de’ fondi confinanti colle ripe del fosso medesimo sono obbligati, nel caso ch’esse cadessero, ad accorrere immediatamente a ripararle.

Ma in realtà l’intervento di bonifica promosso dai Borboni non fu mai veramente sistematico ed efficace, neanche dopo che, nel 1855, fu istituita dal Governo l’Amministrazione Generale di Bonificazione, a cui venne affidata la bonifica di tutte le contrade paludose dei reali dominii.

Lo conferma ad esempio il giudizio dell’ing. Antonio Maiuri, responsabile del bonificamento della contrada a partire dal 1847, su uno degli interventi più ambizioni del governo borbonico: l’alveo comune de’torrenti di Pollena, aperto nel 1824.

Ma come se fosse poca cosa l’abbandono di una contrada per la sua prossimità a Napoli e per feracità di suolo ricca oltremodo e bellissima, vennero novelle opere degli uomini ad aggravarne la condizione. E primamente surse l’idea di raccogliere i torrenti torbidi discendenti dal monte di Somma in un alveo solo…

Radunandovisi tutti i materiali torbidi, che da prima i torrenti separati lasciavano in più luoghi, i medesimi materiali vennero indi depositati dal torrente unico nel tronco più basso del suo alveo, dal lido del mare per un paio di miglia all’insù; e talmente ne hanno alzato il letto che il detto alveo rappresenta un argine posto nel mezzo di quella campagna. E siccome taglia quei canali e que’ fossi che secondo il naturale pendio lasciavano scorrere la acque vive e le torbide, così questo alveo sembra costrutto (diresti quasi a bella posta) per impedire il corso di quei canali. [4]

Ancora più impietoso è il giudizio del Ciasca, il principale storico delle bonifiche del primo dopoguerra.

Anche la manutenzione delle opere compiute lasciava molto a desiderare. Il decreto 11 maggio 1855 aveva disposto che essa fosse a carico degli interessati, i quali dovevano farvi fronte con ruoli separati, e che le strade ausiliarie della bonifica passassero alla provincia per la manutenzione. L’Amministrazione non faceva spesso né l’una cosa né l’altra, di modo che le spese di amministrazione per le varie confidenze aumentavano fino a superare i loro introiti e fino a renderle quindi completamente dipendenti dal sussidio governativo per i nuovi lavori da compiere. Molti lavori iniziati erano poi lasciati a mezzo, e qualche altra volta (es. salina di S. Giorgio) venivano eseguiti assai male; molti altri per difetto di regolare manutenzione o per completo abbandono, rovinavano o si rendevano inutili. E bisognava ogni volta cominciar daccapo, pei lunghi periodi d’arresto che subivano. Lunghi periodi di inazione ebbe, per es., la bonifica di Fondi dal 1815 in poi. I lavori di bonifica dei torrenti Somma e Vesuvio, fatti saltuariamente, disordinatamente e senza un progetto d’insieme, dovettero essere rifatti non poche volte, perché per mancanza di manutenzione rimanevano facilmente interriti i canali collettori e quelli secondari. Un canale destinato a compiere la bonifica dei Regi Lagni e pel quale furono spese oltre 400.000 lire, non venne proseguito, e l’abbandono fu così completo, che i proprietari dei suoli espropriati per ragioni di bonifica li rioccuparono nuovamente e li rimisero a coltura. [5]

In realtà l’istituzione dell’Amministrazione Generale di Bonificazione fu un segnale di svolta importante, che avrebbe trovato dopo poco una brusca interruzione nel crollo del regno borbonico. Lo stesso Maiuri, che scrisse nel 1848, ebbe già modo di descrivere alcuni degli interventi di spurgo, di scavo, di arginatura e di consolidamento da lui stessi eseguiti dal 1855 al 1857, e di illustrare le opere che ancora restavano da fare, imminenti, a suo ottimistico giudizio:

dacché parecchie di queste sono state già proposte ed approvate, e non andrà molto e verranno messe in esecuzione.

e con Decreto del 30 luglio 1856 venne delimitato il “raggio” dei terreni delle paludi di Napoli, Volla e contorni comprendendovi una superficie al tempo di circa 2.430 ettari. Dopo non molti anni la malaria scomparve e la plaga fu ridotta tutta a coltura in massima parte ortiva, così che il nome di paludi o paduli è rimasto a Napoli sinonimo di terreni ortivi.Il sistema di bonifica adottato fu quello per scolo naturale; le acque sorgive, che sgorgano abbondanti nel comprensorio, vennero condotte per corsi naturali opportunamente sistemati o convogliate in appositi canali artificiali che, insieme ai primi, confluivano a monte del ponte della Maddalena formando il cosidetto fiumicelloSebeto. Per impedire, in una certa misura, l’interrimento dei canali di acque chiare si provvide alla costruzione di vasche di sedimentazione, in cui le acque alte depositavano, come depositano le proprie torbide prima di immettersi nei canali di acque basse.

È con deliberazione del 1894 dell’Amministrazione Prov.le di Napoli che il Consorzio viene costituito; certamente il più antico della Regione Campania, nonché fra i primi sorti in Italia. Nel 1896, con successiva delibera, divenuto operativo inizia a muovere amministrativamente i primi passi sul quel territorio che ancora tutela sotto il profilo della difesa idraulica ed igienico sanitario.


[1]  V. Caputo, A. Navarro, V. Storia, O. Tarantino: Le paludi della “Civitas Neapolis”. Napoli, 2000
[2]  R. Ciasca: Storia delle Bonifiche del Regno di Napoli. Bari, Laterza. 1928
[3]  R. Ciasca: Op. cit.
[4]  A. Maiuri: Del bonificamento delle paludi di Napoli. Napoli, 1858
[5]  R. Ciasca: Op. cit.